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Quel che vi scrivo in queste righe non è da prendere con un pizzico di sale!

È un semplice resoconto finale di una spedizione davvero riuscita. Non c’è da sorprendersi: Atacama è davvero un posto spaziale. Poi c’era il progetto, finanziato dalla National Geographic Society (il primo di La Venta), ed una squadra davvero all’altezza del compito. Sta di fatto che siamo tutti tornati stanchi ma contenti, con il sale ancora addosso, e tanti bei ricordi.

Gli obiettivi della spedizione erano principalmente tre: esplorare, documentare e svolgere ricerche scientifiche. Per assolvere il primo compito abbiamo perlustrato due nuove aree mai visitate dagli “uomini col casco”, oltre trenta chilometri a Sud delle zone esplorate dagli amici Triestini della Commissione Eugenio Boegan. E queste zone ci hanno regalato diverse grotte, alcune molto belle, per uno sviluppo totale di oltre 3 chilometri. Inoltre abbiamo appurato la presenza di un’altra zona in cui non sarà difficile trovare altri sistemi ancora da esplorare.

Le ricerche scientifiche, dal canto loro, comprendevano campionamenti microbiologici e mineralogici, monitoraggi meteorologici, misure radon, e rilevamenti geologico-strutturali e geomorfologici, sia in grotta che fuori. Per fare questi rilievi abbiamo utilizzato il laser scanner della Società Virtual Graphic Agency (ViGea) di Reggio Emilia, facendo modelli 3D di 3 grotte e varie morfologie esterne, oltre che fotografie aeree riprese dal drone. Le misure radon in grotta, invece, sono state possibili grazie al coinvolgimento della U-Series di Bologna, mentre le misure meteorologiche sono state seguite dal CNR-Ibimet Sassari. Oltre sessanta campioni verranno analizzati nei prossimi mesi, per la mineralogia e la chimica nel Dipteris dell’Università di Genova e per la microbiologia dal CSIC-IRNAS di Siviglia. Sono queste ultime le analisi più importanti, mai fatte prima, che potrebbero portare a scoprire microorganismi capaci di sopravvivere in questo ambiente ipersalino, nel buio delle grotte. Forme di vita, queste, che si pensa di poter trovare in ambienti analoghi marziani. Insomma, gli speleologi al servizio degli astronauti, ancora una volta!

Infine, come richiesto dalla National Geographic, tutte le attività sono state ampiamente documentate con fotografie e video, con un ininterrotto lavoro di diverse persone che avevano questo specifico compito. E vedrete, i risultati saranno eccezionali, degni dei luoghi affascinanti che abbiamo avuto la fortuna di scoprire e documentare.

Ora siamo tutti rientrati, e troviamo difficile ricalarci nella realtà delle strade asfaltate ed il verde nel paesaggio. Quasi con nostalgia pensiamo alle ore spese in macchina su quelle strade che sembravano campi solcati, tra polvere e colori che spaziavano tra il bianco accecante al grigio e rosso. E quel silenzio assordante delle notti sotto il cielo australe, interrotto dagli schiocchi del sale che si dilata e si restringe. Ma eravamo davvero sulla Terra?

Jo De Waele

Partecipanti: Salvatore Cabras, Carla Corongiu, Roberto Cortelli, Vittorio Crobu, Norma Damiano, Umberto Del Vecchio, Jo De Waele, Riccardo De Luca, Stefano Fabbri, Roberto Ferrara, Stefano Marighetti, Andrea Meloni, Claudio Pastore, Luca Pisani, Alessio Romeo, Patrizio Rubcich, Laura Sanna, Tommaso Santagata, Marco Vattano.

Sponsor: Amphibious, De Walt, Ferrino, Insula, Intermatica, Mytho, Scurion, Tiberino.

Partner: Parco Nazionale Valle della Luna, Parco Nazionale de Los Flamencos CONAF, Cile, Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali-Università di Bologna, Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita-Università di Genova, CSIC-IRNAS di Siviglia, Dipartimento di Fisica-Università di Atacama Copiapò, Dipartimento di Geoscienze-Università di Padova, CNR-Istituto di Biometeorologia di Sassari, Vigea - Virtual Graphic Agency Reggio Emilia, U-series Bologna.

A seguire i resoconti del periodo in cui la spedizione era in corso e pubblicati solo su Facebook

Atacama 2018 Entra nel vivo

Entra nel vivo la spedizione Atacama 2018, sponsorizzata dal National Geographic, che ci vedrà impegnati nella Cordillera de la Sal (Cile), dal 10 al 28 marzo.

Dopo i necessari contatti istituzionali, le attività di ricerca sono iniziate in diverse grotte già conosciute e su alcune aree esterne caratterizzate da particolari morfologie. Le prime escursioni sono anche servite per ambientarsi in queste zone con un clima severo e temperature che, durante il giorno, superano i 40 °C.

Le ricerche di questa spedizione vengono svolte da speleologi, tecnici con laser scanner e geologi, e il tutto viene continuamente documentato da fotografie e video. Oggi parte una squadra di otto persone al Sistema Cressi, il sistema carsico più grande della Cordillera esplorata dagli amici Triestini della Commissione Grotte Eugenio Boegan gli anni scorsi, con l’obiettivo di documentare e fare ricerca scientifica. Staranno fuori 3 notti. Gli altri si alterneranno tra documentazione e studi geologici nella zona della Cueva dell’Arco de la Paciencia e Cueva dell’Aire (anche queste grotte esplorate dai Triestini) ed esplorazione nelle nuove aree a Sud.

Jo De Waele e Marco Vattano

Un pizzico di sale

È sera, siamo tutti riuniti attorno al tavolo del campo base. Abbiamo appena finito di cenare e stiamo sorseggiando un bicchiere di vino rosso cileno. Iniziamo a discutere dell’attività del giorno seguente, l’obiettivo sarà trovare delle strade che permettano l’accesso con i fuoristrada alle zone interne della Cordillera de la Sal. Queste zone sono state individuate da immagini satellitari e mostrano dei canyon incisi nelle evaporiti della Cordillera che spesso scompaiono e riappaiono più a valle dopo centinaia di metri. Questi tratti sono invisibili alle immagini ma prendono forma nella mente di noi speleologi. Chi ci vede delle enormi gallerie serpeggianti, ricche di concrezioni di varie forme e colori e c’è chi ci vede una frana impenetrabile che tappa ogni passaggio. Formiamo le squadre, due fuoristrada penetreranno nella Cordillera avvicinandosi alla zona esplorativa dove verranno scaricati quattro speleo che vi resteranno due giorni per esplorarla.

L’indomani partiamo, addentrandoci nel Piano de la Paciencia. A ovest vi sono delle dolci colline dipinte di rosso, giallo, verde e marrone. A est si innalza la candida Cordillera de la Sal, che si sviluppa come una lingua verso sud. All’orizzonte, lontani, si innalzano maestosi vulcani andini con le cime innevate. Maciniamo chilometri dirigendoci verso sud, costeggiando la Cordillera, dietro di noi si alzano dei potenti nuvoloni di polvere. Raggiungiamo il punto individuato dalle immagini satellitari, da qui una pista si dirama dalla principale e si dirige verso est facendoci avvicinare alla zona esplorativa. La percorriamo per poche centinaia di metri poi la pista scompare. Scendiamo dalle auto e subito ci accorgiamo della foratura di uno pneumatico. Non ci voleva, però era prevedibile, per questo motivo, per evitare qualsiasi incidente ci siamo mossi in due vetture. Sostituiamo il pneumatico e pranziamo con pane, prosciutto e formaggio. Il sole è alto nel cielo e scalda parecchio, l’aria è secca e non tira un alito di vento. Decidiamo come muoverci, l’auto che ha forato resta sul posto di supporto all’altra auto che porterà gli esploratori alla zona d’interesse. Mancano ancora un paio di chilometri, procediamo lentamente ondeggiando sulle croste di sale che scricchiolano al nostro passaggio. Dopo più di un’ora raggiungiamo la nostra destinazione dove scarichiamo il materiale della squadra esplorativa, sorvoliamo la zona con un drone visualizzando l’ambiente che dovremo affrontare. Ci salutiamo, l’auto riparte e noi quattro restiamo lì, in un immenso e desolato deserto di sale. Sono le ore 16, iniziamo a risalire un canyon camminando sul letto inattivo del torrente dove procediamo su croste di sale tra pareti di gesso e arenaria alte decine di metri. Il canyon finisce contro la montagna, stavolta di sale ed ecco la grotta! Iniziamo a percorrere un meandro di dimensioni ridotte, ma frequentemente i tratti ipogei si alternano a tratti a cielo aperto. L’alternanza canyon-grotta si ripete fino a incontrare una cavità di circa 300 m di sviluppo con meravigliosi speleotemi di halite bianchissimi, talvolta trasparenti, globulari, stalattiti tubolari, prati di capelli d’angelo, eccentriche, stalattiti con concrescimenti macrocristallini cubici. Documentiamo con foto e video queste forme risalendo l’alveo fino ad arrivare in una dolina circolare del diametro di 20 m che ci porta sulla sommità dell’altopiano dove proseguiamo il percorso su aguzzi penitentes. Sono le 19:30, soffia un forte vento da ovest, abbiamo ancora una quarantina di minuti prima che sopraggiunga il buio. Ci dirigiamo verso il campo costeggiando il canyon esplorato nel pomeriggio. L’oscurità scende rapidamente, iniziano a scintillare le prime stelle. Facciamo una cena stellare, poi rimango sveglio ad ammirare questa meraviglia di cielo australe.

Stefano Marighetti

Navigando impenitenti al campo Cressi

La notte sta calando veloce. Stiamo camminando in un altopiano che sembra immenso, è difficile intuire il percorso in un ambiente così piatto e omogeneo, per questo ci stanno guidando due GPS. Siamo carichi di acqua, viveri e attrezzatura per pemanere tre giorni alla grotta Cressi, cavità principale della Cordillera de la Sal.

“Guardate che cielo! E che paesaggio spettacolare attorno a noi!” esclama qualcuno. Io non posso staccare gli occhi da terra, ho lo zaino pesantissimo, oltre al mio materiale sto portando due boccioni d’acqua che tengo legati allo zaino sostenendoli con le mani. I miei passi sono illuminati da una fioca e pallida luce led che mi permette di passare illeso tra i penitentes. I penitentes sono pinnacoli di sale alti decine di centimetri molto ravvicinati che rendono difficoltoso il cammino.

“Ciurma!” esclama Capitan Gambalunga. “La direzione è giusta, l’importante è non finire dove i penitentes sono alti, fitti e taglienti.”

Dieci minuti dopo, come non detto, ci ritroviamo a navigare in un mare di pericolosi penitentes affilati. Sto sudando, la crema solare spalmata sulla fronte mi cola negli occhi accecandomi ulteriormente. Continuiamo a muoverci veloci, ormai è buio pesto, la gola e le labbra sono sempre più aride. Ad un tratto la traccia GPS si ferma, siamo arrivati, il campo della grotta Cressi è poco qui sotto. Respiro sollevato. Ora posso lasciare i boccioni d’acqua e alzare lo sguardo, il cielo stellato del deserto è veramente meraviglioso.

Stefano Marighetti

CresSI-NO

La sera a cena al campo base siamo rimasti in 11 e sappiamo che in 6 andranno alla Cueva dell’Arco a fare rilievo 3D con laser scanner. “Ma dobbiamo andare anche noi alla Cressi? E che ci andiamo a fare?” è la domanda che rimbalza tra gli ultimi 5 rimasti, “Potremmo andare alla zona 5 a fare esplorazione, sembra promettente!”; “Si dai, vada per la zona 5!”. Ma… il messaggio arrivato sul telefono satellitare alle 9 del mattino dopo è chiaro “Portate un’altra corda da 50 metri, due batterie del trapano, e un drone”. Evidentemente la squadra che è già lì da tre giorni non è riuscita a terminare i lavori di documentazione alla più importante grotta della Cordillera perché a corto di materiale. Prepariamo tutta la roba e ci teniamo pronti per essere all’appuntamento nel deserto con la squadra di rientro alle 17:00. Sia noi sia loro spacchiamo il minuto. Breve briefing per capire cosa c’è da fare e iniziamo la salita lungo le tre rampe di sale e gesso che ci separano dall’altopiano che ci condurrà fino al canyon della Cueva. Gli zaini pesano sulle spalle di ognuno di noi e il buio inizia a calare, seguiamo la traccia GPS evitando doline e camminando sui penitentes. Alle 21:30, mezz’ora più mezz’ora meno, finalmente iniziamo a scendere nella gola per raggiungere il campo. Il nostro compito sarà produrre documentazione video della grotta, passando per un pozzo ancora da armare di cui non sappiamo esattamente la profondità (ma abbiamo una corda da 50 metri, quindi…), raggiungere lo spettacolare skylight, uno dei tanti ingressi della Cressi, fare rilievi geostruttrali nella Cueva e recuperare i rivelatori per il Radon. Il mattino dopo iniziamo l’attività video e geostrutturale, individuiamo i punti in cui sono i rivelatori (che recupereremo il giorno dopo durante il disarmo per lasciarli ancora 24 ore in esposizione). La grotta passa da bassi laminatoi a imponenti ambienti, seguiamo il fiume di halite verso valle, by-passiamo candidi laghi salini e scendiamo un pozzettino di una decina di metri adornato da imponenti concrezioni. Siamo finalmente sul pozzone. È impressionante nelle dimensioni, profondo una quarantina di metri e largo almeno 20. Capiamo subito che l’armo non sarà semplice. L’attacco di partenza è nel sale solido, ma quello che viene dopo lo dobbiamo arrangiare tra paracorda e banchi di sedimenti di arenaria non molto solida, doppiando e triplicando i punti di frazionamento. Il tempo passa e quando siamo alla base ci fiondiamo ancora lungo la grotta per raggiungere lo skylight. Ma prima usciamo in uno spettacolare canyon. Riprendiamo la via verso lo skylight, ma… c’è ancora una risalitina da fare non arrampicabile e non abbiamo più materiale con noi... purtroppo a un centinaio di metri dall’obiettivo dobbiamo fermarci. Abbiamo comunque prodotto molto materiale e quando usciamo chiediamo via satellitare al campo base se dobbiamo rimanere ancora un giorno per arrivare allo skylight, ma ci dicono che non è necessario (un piccolo sollievo, la stanchezza si fa sentire). Il giorno dopo chiudiamo il disarmo e quel poco rimasto da fare, un giro di drone sul canyon e sui penitentes. Alle 16.30 rifacciamo gli zaini avviandoci verso le 2 ore e mezza di cammino nel deserto che ci separano dall’appuntamento. Quando arriviamo siamo stranamente felici dalla stanchezza e sorridiamo con le nostre labbra spaccate dal sole…

Claudio Pastore

Un mondo salato e vivo

Mi trovo nuovamente in questo desolato paesaggio. Il mio sguardo spazia da destra a sinistra e vedo soltanto colori caldi dal marrone al grigio e bianco che contrastano con il cielo blu. In questo mondo manca il verde. Penso: “Gli unici essere viventi qui siamo noi”, ma so che non può essere così. Oramai la vita sembra essere dappertutto sulla Terra, nei geyser a 80 °C, sul fondo degli oceani bui, nei ghiacci della Groenlandia e nei sondaggi profondi dentro la crosta terrestre. La vita è anche qui, nel sale del Deserto di Atacama. Non si vede, non si sente, ma con le adeguate tecniche possiamo scoprirla. In realtà qualche suo indizio c’è nelle grotte di sale. Farfalline che svolazzano qua e là, qualche scolopendra che si ciba di chissà cosa, un uccellino, sicuramente un migratore che si trova di passaggio, che non ha paura dell’uomo e si avvicina incuriosito verso di noi. Armati di guanti, mascherine, pinzette e barattoli sterili raschiamo le pareti, i pavimenti e le concrezioni alla ricerca di organismi capaci di sopravvivere in queste condizioni. Prendiamo dei campioni di sale, sedimento, minerali strani, per vedere se contengono vita, quella microscopica. Microorganismi adattati a questo ambiente estremo, al buio, nel sale, con poca sostanza organica. La nostra missione è scoprire queste forme di vita microscopiche, studiarle, descriverle al limite del possibile, in questo analogo marziano.

Jo De Waele

Scansionando gocce d’acqua nel deserto

Finalmente ci siamo. Era da tanto che sognavo di vedere queste grotte nel sale e di camminare tra gli immensi canyon del deserto di Atacama. Nel 2015 non ero riuscito a prendere parte alla prima spedizione di questo progetto, che prevedeva anche l'utilizzo di un laser scanner per rilevare le grotte nel sale e altre strane morfologie esterne come i campi solcati chiamati "penitentes". Quest'anno il programma è molto più intenso e, oltre ai rilievi 3D, si faranno anche indagini microbiologiche per capire quali forme di microvita popolano questo deserto. Insieme a Umberto, Stefano e Roberto, il nostro compito durante questa spedizione è quello di rilevare con laser scanner e fotogrammetria le stesse aree rilevate nel 2015 per confrontare i dati e valutare le differenze che ci sono state in questi anni. Le grotte nel sale, infatti, presentano morfologie caratteristiche legate all'alta solubilità della roccia e in relazione agli eventi piovosi, qui molto rari, possono subire notevoli cambiamenti.

Iniziamo dalle grotte Chulacao e Lechuza del Campanario, nel Parco della Valle della Luna. Queste grotte erano già state rilevate con tecniche tradizionali da speleologi americani nel 2003 e con laserscanner nel 2015, ma grazie ad uno strumento che permette di rilevare in tempi più ristretti riusciamo a completare il rilievo 3D in molto meno tempo.

Alla fine abbiamo effettuato ben 110 scansioni che ci permetteranno di ottenere il rilievo 3D completo di queste grotte e confrontare i dati ottenuti quest'anno con quelli del 2015.

Abbiamo poco tempo per dedicarci all'elaborazione dei dati, giusto un giorno di pausa a San Pedro per fare un backup dei dati raccolti e ripartiamo per esplorare una zona nuova nella parte sud della Cordillera del Sal. Subito dopo torniamo a lavorare con scanner e drone per rilevare la Cueva dell'Arco scoperta e rilevata dagli amici della CGEB di Trieste nella parte nord-ovest della Cordillera; anche questa cavità era già rilevata solo in parte nel 2015 con il laser scanner. A differenza delle prime due grotte, dove la sera potevamo rientrare a San Pedro vista la vicinanza, in questo caso restiamo isolati dal resto del gruppo per tre giorni e finalmente ho la possibilità di dormire nel deserto e ammirare l'impressionante cielo stellato dell'emisfero australe. La prima notte la passo per ore con gli occhi all'insù e faccio fatica a prendere sonno, provo anche a contare le stelle ma sono troppe e alla fine riesco a dormire solo per qualche ora.

Il giorno dopo iniziamo i lavori, le giornate in grotta scorrono veloci e la sera usciamo per tornare al campo, prepariamo qualcosa da mangiare e poi di nuovo nel sacco a pelo con gli occhi rivolti verso il cielo. La seconda notte riesco a dormire di più, forse anche grazie alla stanchezza che inizia a farsi sentire. Il giorno dopo rientriamo in grotta per completare il rilievo, che finiamo verso le prime ore del pomeriggio. Come da programma quindi abbiamo anche il tempo per fare fotogrammetria all'esterno, poi verso sera in lontananza vediamo la polvere alzata dalla macchina che sta per venirci a prendere. Sono passati davvero in fretta questi tre giorni ma so che farò fatica a togliermi dalla testa le incredibili bellezze di questi posti per molto tempo.

Ora siamo di nuovo qui a San Pedro, un paio di giorni di pausa dalle grotte sono necessari per sistemare i dati raccolti. Rientrano anche i gruppi che erano in giro per esplorazioni in altri campi, così tra l'allineamento di una scansione e l'altra riceviamo gli aggiornamenti delle esplorazioni fatte in questi giorni. I risultati sembrano promettenti, e sono contento perchè spero che questo ci darà la possibilità di tornare in questi posti stupendi.

Tommaso Santagata

Nel sud della Cordillera de la Sal

Salto da un campo all'altro, siamo diretti alla zona denominata 4 dove sono stati individuati una serie di canyon da esplorare. Ci troviamo nella parte piu' a sud della Cordillera de la Sal. Il primo giorno ci prepariamo ad una lunga camminata per raggiungere le possibili grotte, decidiamo di camminare in cresta per orientarci meglio, qui i penitentes sono meno "penitenti" e raggiungiamo agevolmente la parte alta dove ci sorprende il panorama a 360° su distese di sale. Individuiamo il primo canyon, lo percorriamo ma già dopo poco ci rendiamo conto che non ci sono molte possibilità, infatti troviamo piccole grotte intervallate da lunghi tratti crollati. Cosi' arriviamo dall'altro lato della cordillera verso est, un pò scoraggiati. Comunque le ricerche continuano, e dopo un paio di grotte lunghe una cinquantina di metri raggiungiamo un altro canyon con un portale grande, trovata! E di fianco ci sono altre gole da controllare. Rientriamo al campo godendoci il panorama nonostante il vento forte che rende piu' sopportabile il sole.

L'indomani torniamo alla grotta "lunga" e ci dividiamo in piu' squadre, con Salvatore mi occupo del rilievo della grotta mentre gli altri proseguono la ricerca nei canyon a lato. Impieghiamo tutto il giorno rilevando un meandro lungo circa 700 m, alternanto passaggi stretti e bassi a tratti alti con due livelli. Nel frattempo ci raggiunge Vitto per documentare il tutto.

Gli altri trovano un'altra grotta e Carla, Stefano e Andrea rilevano circa 400 m.

Torniamo al campo soddisfatti dei risultati e ci godiamo il paesaggio che con la luce del tramonto assume delle colorazionni davvero suggestive. La stanchezza si fa sentire ma il riposo al campo sotto il cielo stellato fa dimenticare tutto.

Il giorno successivo, ci vengono a prelevare con due fuoristrada e dopo due ore e mezzo di viaggio rientriamo al campo base in San Pedro de Atacama.

Norma Damiano

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