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Spedizione "Juquila 2002", Messico

JuquilaLa spedizione Juquila 2002 ha messo a dura prova uomini e materiali durante i 10 giorni di esplorazione all'interno del canyon Juquila nello stato messicano di Oaxaca.

Il gruppo, da subito diviso in due squadre per ragioni di operatività e di sicurezza ha affrontato il canyon: la prima squadra attaccandolo da monte con il compito di discenderlo ed esplorarlo; la seconda, trentacinque chilometri più in basso, attrezzando un campo base ed esplorando grotte e risorgenze presenti in quella parte di canyon, per poi ricongiungersi con gli altri.
A parte le spine ed il caldo, ormai costanti compagne nelle nostre spedizioni, le difficoltà maggiori sono scaturite dalla sottostima dei tempi di percorrenza: il territorio si è dimostrato, infatti, più aspro e ostile di quanto previsto.

JuquilaLa morfologia del canyon, interessato da numerose frane e salti, ed alcuni piccoli incidenti (congestione, distorsione di un ginocchio, rottura di un'arcata sopraciliare con punti di sutura, contusioni varie) hanno notevolmente rallentato la discesa della prima squadra.

Nonostante ciò, forzando i tempi e consumando le ultime provviste, pur se malconci, i sei componenti sono riusciti a rispettare l'appuntamento riunendosi come previsto, cinque giorni dopo la partenza, con il resto del gruppo.
Anche l'avvicinamento da valle della seconda squadra ha comportato non poche difficoltà: nonostante l'impiego di cavalli per i materiali, zaini in spalla, sotto un sole infernale tra spine, pietre e assoluta mancanza d'acqua, in nove ore si è giunti ad un valico che affaccia sul canyon. Da lì, con altre due ore di discesa impossibile (700 m di dislivello su 800 metri di sviluppo) il gruppo ha finalmente raggiunto il luogo dove allestire il campo base, da cui ha svolto l'attività esplorativa e logistica prevista.
Questa prima esplorazione ha portato allo sviluppo di un progetto di ricerca pluriennale nell'area.

Auyan Tepui 1996

Tra febbraio e marzo 96 si svolge una nuova spedizione, per completare il lavoro esplorativo degli abissi della piattaforma Aonda (così chiamata dal nome dell'abisso principale, profondo 360 metri e lungo quasi seicento) e per approfondire ulteriormente lo studio dei meccanismi speleogenetici in quarzite.

La spedizione era però finalizzata principalmente alla realizzazione di un documentario in 16 mm dedicato a questi ambienti straordinari e in particolare alle loro grotte e alle ricerche svolte dalla associazione La Venta.

Alla spedizione, realizzata con l’appoggio della RAI, Radio Televisione Italiana, parteciparono anche il regista Enrico Hendel e una troupe specializzata in documentari naturalistici.

Parallelamente al complesso lavoro di documentazione, che obbligò a un laborioso trasporto sino a fondo della Sima Aonda, furono portate avanti anche le esplorazioni speleologiche, con il raggiungimento del fondo del pozzo di 350 m di Fummifere Acque e l’esplorazione della Sima del Bloque, poi collegata con il collettore sotterraneo della Sima Aonda.

Tepui 2009

Chimanta Tepui 2009

La spedizione, tenutasi nel febbraio 2009, aveva quale obiettivo quello di ampliare il quadro conoscitivo del carsismo nelle quarzoareniti venezuelane, in particolare per quanto riguarda le indagini di carattere: idrogeologico, speleogenetico e biospeleologico.

Obbiettivo specifico sono state le propaggini orientali del vasto Chimanta Tepui, rilievo che copre una superficie di quasi 1200 km2 suddiviso topograficamente in diversi rilievi minori, tra i quali l'Akopàn ed il Churì. In esse, durante una pre-spedizione tenutasi nel gennaio 2008, erano stati avvistati numerosi importanti ingressi carsici, alcuni caratterizzati da imponenti risorgenze in parete.

Il problema principale che si è dovuto affrontare è stato il raggiungimento delle cavità, che si aprono sulle alte pareti dell'Akopan Tepui, affrontando impegnative calate di quasi 200 metri. Fondamentale è stato l’uso dell’elicottero per raggiungere la sommità del massiccio elitrasportando piccole squadre autonome.

Nel corso della spedizione è stata realizzata una imponente documentazione fotografica e video. Per la prima volta in una spedizione speleologica è stato sperimentato il sistema di collegamento satellitare Inmarsat, della Intermatica. Sistema che ha permesso di aggiornare quotidianamente e in tempo reale una pagina di news. Tra i principali risultati esplorativi raggiunti vi è stata l'esplorazione del sistema Akopàn-Dal Cin-Maripak, che su enormi gallerie attive sviluppa 3,5 km.

Durante la spedizione, il pilota di elicotteri venezuelano Raul Arias individua dall’alto un grande ingresso negli altopiani sommitali dell’Auyan Tepui. La cavità, che viene chiamata Cueva Guacamaya, è esplorata poche settimane più tardi dallo stesso Arias, insieme a due speleologi italiani e dallo speleologo venezuelano Freddy Vergara.

Auyan Tepui 1993

Nel febbraio del 93, grazie ad uno sforzo logistico veramente straordinario (quasi 40 ore di elicottero, due tonnellate di materiali, complesse comunicazioni radio), tre gruppi hanno operato per venti giorni sulla superficie e negli abissi del grande altopiano quarzitico dell’Auyan Tepui.

Il lavoro di superficie ha permesso di tracciare mappe di dettaglio, grazie all'uso di moderni satellitari e una meticolosa attività topografica. L'esplorazione ipogea, superando le difficoltà tecniche poste dalla quarzoarenite (altissima abrasività, estrema durezza in superficie, friabilità in profondità) e quelle legate al clima (altissime precipitazioni e piene improvvise) porta invece alla conoscenza e allo studio di una delle cavità più profonde al mondo in questo tipo di roccia (Cueva del Rio Pintado, 2500 metri di sviluppo, 370 metri di profondità).

Anche le esplorazioni della piattaforma Aonda e della Sima Churun portano a risultati inaspettati. Ma al di là dei dati metrici, viene confermata definitivamente la possibilità di sviluppo di sistemi carsici complessi nella quarzite, e è chiarito il meccanismo speleogenetico alla base del fenomeno.

Nel corso della spedizione è realizzato un documentario per il programma Reportage (Canale 5) che ottiene un grande successo, grazie a nuove tecniche di ripresa e agli ambienti particolarmente impressionanti.

Tepui 2012

Un grave incidente occorso all’elicottero che doveva portare i membri della spedizione sull’Auyan Tepui e le critiche condizioni meteorologiche hanno costretto a rinunciare al programma originale, che prevedeva l’esplorazione di nuove grotte sull’Auyan Tepui.

Dopo vari giorni spesi nel tentativo di rispettare il programma originale, il gruppo decide di fare un breve ricognizione sul Roraima Tepui, l’unico raggiungibile via terra con 2 intensi giorni di cammino.

Durante i pochi giorni disponibili e in condizioni meteo decisamente proibitive, vengono fatte alcune prospezioni per individuare nuove possibili grotte e vengono realizzati studi di carattere geologico, tesi a arricchire il quadro conoscitivo sui tepui e sui processi di alterazione cui sono sottoposte le rocce quarzitiche in questi particolari ambienti.

Auyan Tepui 2013

Dopo la sfortunata spedizione del 2012, nel mese di febbraio del 2013, 15 giorni di tempo relativamente stabile hanno permesso ad una squadra di speleologi di La Venta e del Theraphosa Exploring Team, di installare un campo nel settore est dell’Auyan Tepui, sul bordo di una vasta depressione che lasciava intravedere qualche ingresso ai piedi delle pareti interne.

In realtà azzeccare l’entrata giusta in quel caos di blocchi giganteschi non è stato così semplice, ma, una volta individuata, si è aperto un mondo inaspettato.

Pochi giorni di esplorazioni a ritmi serrati hanno permesso di esplorare e documentare quasi 20 km di gallerie, di cui 15 km topografati, appartenenti ad un vasto labirinto di gallerie orizzontali e incredibili ambienti larghi oltre cento metri e alti solo pochi metri. Un sistema percorso da più collettori, alcuni di considerevole portata (> 100 l/s), collegati da gallerie inattive e con più ingressi.

Ma quello che impressiona di più di questa grotta, chiamata Imawarì Yeuta – la “Casa degli Dei” in lingua Pemon Kamarakoto – non sono tanto le dimensioni, quanto l’incredibile varietà di speleotemi, costituiti principalmente da silice amorfa (opale), gesso e ossidi di ferro. L’interesse scientifico di queste formazioni è enorme, perché sono legate a condizioni geologiche e microclimatiche particolarissime, che solo in grotte dall’evoluzione lentissima (diversi milioni di anni) possono presentarsi.

Inoltre la scoperta di questa grotta contribuisce alla comprensione dei processi speleogenetici in quarziti (arenarie quarzose) che, fino a qualche anno fa, si basavano su modelli speculativi non del tutto convalidati da dati analitici e modelli fisico-chimici.

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