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BivaccoIl giorno 25 facciamo una gita sociale in barca alla fronte del Viedma, che è in stato disastroso, si è ritirata moltissimo, ora è decisamente una fronte modestissima (e immobile) per un gigante del genere, che però rimane il più interessante dei ghiacciai patagonici. Rientriamo al Chalten, giusto in tempo per separarci: gli altri salgono al Paso del Viento, io vado a nord.

Devo andare prima degli altri a Buenos Aires, sicché sul Viedma potrei fare solo il portatore sino al rifugio IHCP e rientrare a Chalten. Se la caveranno benissimo senza di me, opto per approfittare dell’occasione e continuare il giro dello Hielo Continental, verso nord, a capire la logistica di quelle regioni così remote che nessuno ne parla mai, quando parla di Patagonia: O’Higgins, Chico, Candelario Manzilla, Villa O’Higgins…

Un furgoncino mi porta per 40 km di strade sterrate sino al bordo meridionale della Laguna del Desierto, un lago lungo 10 km e largo uno. Elvio mi dice da anni che devo assolutamente vederlo, non ne avevo mai avuta l’occasione, ma è davvero un posto sbalorditivo. Una lancia mi porterà all’altra estremità del lago. Ho il biglietto di andata e ritorno, appena in barca me lo ritirano. Guarda che ritorno fra un paio di giorni, mi serve, gli dico. Ci saremo ancora noi, non ne hai bisogno, ti riconosciamo. Lo trovo strano, ma non commento.

La barca (la stessa su cui sono ora che scrivo, di ritorno) naviga sull’acqua calma, attorno a me scorre un paesaggio magnifico, una valle stretta piena d’acqua scura cerchiata di boschi e sopra cime, e nevai, e ghiacciai. Sullo sfondo le pareti nord del Fitz Roy e del Cerro Torre. Mi pare di solcare le acque di un braccio del lago di Como 5000 anni fa.

Arrivo dall’altra parte. Mi attendo un gruppo di case, ma non c’è, c’è solo un posto di gendarmeria. Mentre la lancia se ne va chiedo dove si può stare. Puoi accamparti là, mi dicono indicando un prato in riva al lago.
Dove si può comprare cibo? Non si può comprare cibo, qui, mi dicono.
Ahi, io non ho una briciola.
Non c’è un rifugio? No.
Le nostre tende, tutte, stanno salendo al Paso del Viento, ne farò a meno, meno facile sarà fare a meno del cibo per altre decine di ore.

ThalassaMi sistemo sul bordo del lago, in un posto da urlo. Per farmi passare la fame ho solo del té, lo bevo e mi addormento, con Canopo allo zenith.

La mattina prendo il timbro d’uscita dall’Argentina e mi avvio su per la valle, su un comodissimo sentiero che prima sale e poi va in costa. Una, due ore e arrivo al posto di confine, due cartelli che si guardano dicendosi il benvenuto in Cile e Argentina.

Il sentiero si fa orribile strada sterrata, che continua fra boschi e piccoli laghi. Altre due ore e incontro una coppia che procede leggera. Mi emoziona sin un po’, è proprio il periodo di punta del turismo, qui, ci scambiamo un rapido saluto. Con me ho di tutto, per resistere a lunghe attese. Ho pc, hard disk totali, ciabatte, quaderni e libri, e neppure una galletta. Ora non mangio da quaranta ore, salvo un break di fronte al Viedma.

Continuo sulla sterrata interminabile e vuota. Alla quinta ora il lontano fondo valle della montagna di fronte fa apparire una superficie bianca: il lago O’Higgins! “Thalassa, thalassa”, griderei come i soldati di Senofonte.

La strada prende a scendere e il lago ad ampliarsi, sino a mostrare tutta la sua maestosità. È davvero fantastico. Color latte, profondo quasi 900 metri, ha la superficie dell’Argentino e del Viedma, tre volte il Garda, ma è tutto fatto a bracci stretti chiusi fra alte montagne. È il più bello dei laghi patagonici, senza dubbio, ma è quasi completamente tagliato fuori dai circuiti turistici.

Dal Cile è molto difficile da raggiungere, e con centri di colonizzazione molto recenti. Dall’Argentina lo è di meno, ma essendo condiviso con il Cile non è stato fatto nulla. Non ci sono comunicazioni di superficie fra i pochi centri sulla sua costa, la via che ho seguito è una delle più comode per raggiungerlo…

Arrivo su una costa meravigliosa, ripida, con sotto l’acqua bianca che si frange sulle scogliere, c’è l’edificio dei carabineros. Faccio entrata in Cile, poi continuo il cammino verso l’unico posto dove stare, in realtà la sola estancia della zona, fondata da tal Candelario Manzilla nel ’26. L’estancia è una serie di case di legno, malandate, su un terrazzo che domina il lago. Fatico a trovare qualcuno, da diverse ore l’unico incontro è stato col carabinero. L’erba fra le case è incolta, ci sono attrezzi e opere abbandonate, fiori inselvatichiti, si vede che qui c’era un vasto progetto interrotto dalla morte di qualcuno.

Fra le case, silenziosa, appare Dona Justa. Chiedo ospitalità. Risponde lentamente, come se capisse con ritardo. Tutto bene, ma devo pagare con pesos cileni. Non li ho, si cambia qui? No, mi dice, né sa il cambio. Poco importa, intanto si può mangiare? Mi può fare una sopa, dice. Immagino una zuppa di verdure, fumante. Va benissimo, le dico, ma ha anche qualcosa da vendermi da mangiare? – penso al mio ritorno – Solo pane. Formaggio o salumi? No, pane. Cipolle? Sì cipolle sì. Andrà benissimo, le dico.

Poi mi sistemo in una stanzetta simile ad innumerevoli altre in queste contrade, legno, cartone, quadri sbilenchi, ritagli di giornale, una gondola di plastica, una vecchia bambola. Torno di là, la sopa è di quelle preparate, in busta, ma va benissimo. Chiacchiero con lei, divorando sopa e un sacco di pane e una cipolla cruda dentro, altro non c’è.

È figlia del fondatore di questa estancia, Candelario. Uno dei suoi figli ha i cavalli e vive nella zona del confine, a tre ore da qui. Non sono in contatto. Fa servizio coi turisti, lui sa il cambio. La barca viene due volte la settimana, va fino al ghiacciaio O’Higgins, torna qui e poi va a Villa O’Higgins. Non sa quand’è, io sì, è domani. No, non sa quanto costa.

In sei ore di cammino ho cambiato galassia, frequentando le zone turistiche si dimentica che la Patagonia è un deserto, specialmente dalla parte cilena. Vado in giro a fare foto, la terrazza finisce con rocce scoscese che arrivano all’acqua. Non immaginavo che Chalten fosse la porta per un posto come questo, ma una porta socchiusa, che quasi nessuno varca. La sera arriva un turista svizzero di lungo corso, sta facendo un giro di un anno, da solo. E’ in pensione, mi spiega. Dona Justa lo sistema nell’altro letto della mia stanzetta.

Nella notte si alza il vento, è la prima volta da che siamo arrivati. Mattina ventosa, il lago bianco si agita, io torno dai carabineros a chiedere quanto è il cambio e a caricare le batterie del pc, loro hanno l’elettricità. Me lo dicono, finalmente, ma mi dicono anche che la lancia non è partita da Villa O’Higgins, il lago oggi è malo, il viaggio è rimandato a domani. Possiblemente. Se aspetto domani, perdo l’aereo di ritorno, dovrei rientrare di notte ed è impossibile su un percorso così lungo. Il ghiacciaio aspetterà, ora ho capito molte cose del contesto in cui è. Per ora basta, ho iniziato.

Torno all’estancia, prendo pane e uova sode per il viaggio, e forse per la notte, e mi riavvio, carico, iniziando così il ritorno verso casa. Dopo sei ore alacri (dal Cile ci sono 450 metri di salita e poi 200 di discesa) e l’incontro con due francesi diretti verso Villa O’Higgins arrivo alla Laguna del Desierto.

Dopo mezz’ora sono sulla lancia, macchina del tempo, rivivendo come erano i laghi alpini e scrivendo su un pc. Poi un autostop serale mi riporta da Elvio e Carina, fuori del mondo sospeso.

GBad

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