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Il Subterranean River era già abbastanza “subterranean” il 27 aprile 1521, giorno della morte di uno dei più grandi esploratori geografici di tutti i tempi, Ferdinando Magellano, morte avvenuta durante uno scontro con i filippini di Mactan nell’isola di Cebu, a est di Palawan. La flotta superstite, a bordo delle famose Trinidat e Victoria, sbarca sulle coste di Palawan, “la terra promessa”, come definita dal cronista ufficiale di Magellano e della spedizione, il veneto Antonio Pigafetta (nella spedizione c’erano due soli italiani, entrambi sopravvissuti al massacro, uno veneto e l’altro savonese…). Con la morte del grande esploratore termina, a Palawan, il sessennio di una delle più importanti spedizioni geografiche dell’umanità, la circumnavigazione della Terra, e si apre la storia delle esplorazioni geografiche moderne.

Quasi 500 anni dopo, la Magellan Chamber (Salone Magellano), l’imponente salone sotterraneo in cui si innesta la fantastica 150 Years Gallery (Galleria dei 150 anni), segna il limite esplorativo sotterraneo della spedizione geografica laventina Palawan 2011 e – come 500 anni fa – delimita il punto di partenza delle future esplorazioni del sistema del St Paul. Un toponimo d’auspicio e forte responsabilità per una hall d’aspetto verso un intero mondo sotterrano che ha appena dato segni evidenti della sua esistenza.

500 anni, un lasso di tempo che evocato all’Expo ’98 di Lisbona, con il simbolo delle Piramidi (3000 a.c.) affiancato alla Caravella di Colombo (1492), alla Trinidad di Magellano (1511), a sua volta affiancata allo Space Shuttle (1992). Le più importanti scoperte geografiche e spaziali concentrate negli ultimi 500 anni della storia dell’umanità.

Probabilmente, 500 anni fa, era già li a vigilare quel pezzo del pianeta incantato e inviolato, a 750 metri di quota. Un imponente ed elegante sentinella di oltre 40 metri, di rosso vestito e con radici di pietra, neo-battezzato “The Guardian”. Il solitario albero guardiano di un “luogo-non luogo” cartografico, una valle sospesa alle pendici del St Paul Dome, una macchia bianca sulla mappa degli uomini, che ora si può raggiungere percorrendo il neonato sentiero che porta alla vetta del Duomo di San Paolo. “Chissà da quanto tempo sei qui a custodire questo posto magico e silenzioso…” mi sono chiesta mentre ero seduta su una sua radice (un vero muretto a secco) e, con le gambe a penzoloni nell’aria della valle sospesa, lo caratterizzavo cartograficamente. “Faccio in un attimo, giuro, così ti libero al più presto dalla nostra invadenza e frastuono”. L’abbiamo lasciato al suo secolare lavoro di controllore, proseguendo su quella traccia cartografica che ora prende il nome (anzi topo-nome) “way to the Dome” trail. Similmente, il sentiero di ritorno è stato topo-nominato “way to home” trail.

Nell’isola di Palawan il più significativo esempio di toponimo britannico è proprio il St. Paul Dome, assegnato da un capitano di lungo corso inglese nel XIX Secolo. Egli, giungendo nella meravigliosa baia, dominata dal maestoso massiccio calcareo, pensò alla bellezza della cupola della cattedrale londinese di St. Paul, e così ne decise il nome.

Daniela Pani

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