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Diciamocelo chiaro: il viaggio dentro la grotta di Saint Paul, navigando per 4 km in canoa su acque calme e scure, con ogni tanto il ticchettio di una rondine salangana – che senti spostarsi nel buio lungo l’enorme galleria che continua serpeggiando nella montagna – è effettivamente un po’ fuori dall’usuale speleologico.
Questo da una parte ha come conseguenza che ti dici che valeva assolutamente la pena di venire sin qui, dall’altra che hai difficoltà a “leggere” la grotta, dato che è troppo inusuale.
Insomma, non basta dire che è inusuale, se sei uno speleologo vero devi saper dire che cosa c’è di inusuale, e questo sembra facile lì per lì, ma non lo è affatto. O almeno, io ho cominciato a intravederlo appena appena nella giornata di ieri, dentro l’Australian Inlet, un grande ingresso intermedio che non avevamo mai visitato.

Torniamo all’inusualità. Andare in barca in grotta? Banale mezzo di trasporto. Andarci a lungo? Grotta turistica eccezionale. Traforo idrogeologico? Ne ho esplorato di più lunghi e con portate d’acqua maggiori, ad occhio. Bellezza delle gallerie? Macché, aspetto estetico irrilev…
Un momento. “Bellezza” in che senso?
Dal punto di vista delle concrezioni la grotta vale zero. Ce ne saranno di sicuro alcune che faranno urlare di gioia Forti e Calaforra, ma proprio questo basterebbe a dubitare del loro impatto estetico sugli esseri umani. C’è poco e vale poco, ma proprio questo apre la percezione della bellezza superna della grotta. Le sue morfologie di dissoluzione sono strepitose proprio perché non nascoste sotto coltri di depositi di calcite in forma di presepi, prosciutti, madonne, nani, torri di Pisa.
Perché questo?
Non lo so dire bene, ma è probabile che sia connesso con l’enorme flusso energetico (il termine giusto sarebbe “entropico”, in realtà, ma non esageriamo…) che la attraversa e la rende brulicante di vita.
La grotta è invasa per chilometri dalle maree, attraversata da un fiume esterno che ora porta intorno ad un metro cubo al secondo, da flussi d’aria con inversioni diurne di molte decine di metri cubi al secondo, e così via. Le differenze di temperature fra aria e acqua e le sedimentazioni termiche sono dell’aria sono di quasi un grado, enormi. Questo è eccezionale, è un luogo sotterraneo di contrasti, di confine, interfaccia fra due mondi che vi si alternano liberamente, invadendola e ritraendosene, come fa il mare. E l’aria, e i pipistrelli e le salangane, e le piene del fiume.
Per costruire merletti concrezionali, cristalli, forme complesse nel buio, occorre quiete, e qui la quiete non c’è mai stata. Mettiamo via questo primo dato.
Il secondo me lo ha detto ieri l’Inlet.
Giravo per gallerie e mi sorprendevo. In zone tropicali ho esplorato diversi trafori idrogeologici, e ogni volta che mi alzavo dall’acqua entravo in zone sfasciate, antiche concrezioni, riempimenti solenni, crolli. Avevo imparato che la presenza di un fiume concentra lo scavo attorno a sé stesso e il resto viene lasciato a crolli e riempimenti. E che le forme freatiche son ben difficili da incontrare nel tropicale, sono forme di zone temperate. Tanto difficili da incontrare che bisognerebbe chiedersi seriamente il perché…
Qui no. Mi inoltravo in gallerie secondarie e quelle proseguivano in reticoli, era tutto un biforchìo di gallerie che avevano passato lunghi periodi sott’acqua, a scavarsi.
Pochissimo concrezionamento, forme libere, freatici. Mmhhh…
Siamo andati avanzando in questa grotta, apparentemente gran canale di immissione d’acqua al Saint Paul, in pratica accesso a un complesso di gallerie inattese, sino ad un passaggino fangoso su salto rilevante, dove era prudente attrezzare. Ottimo, ce n’era abbastanza per una giornata di rilievo, e abbiamo deciso di rimandare ad oggi e di rientrare rilevando.
Avevo però visto che eravamo assolutamente troppi e che avrei sicuramente disturbato il lavoro di rilievo dei miei compagni, e quindi sono andato oltre il passaggino (mandandone via Guillermo, la guida, che si apprestava ad affrontarlo senza casco e con le ciabattine infradito) a guardare dove si finiva, fermandomi un centinaio di metri oltre su un pozzo con lago sotto –e, mentre scrivo, è arrivata la notizia che sì, il Subterranean River era quello lì-.
Ma non cercavo il fiume, avevo capito che era una trappola, non sono mica nato ieri, avrei potuto benissimo fare il militare a Cuneo. Cercavo di capire un po’ meglio la struttura delle zone fossili e quindi rientrando, ho tirato su per una china di fango secco, entrando in una vasta zona inesplorata, un arrivo, questo sì abbastanza concrezionato. Di scivolo in scivolo sono risalito una cinquantina di metri, e andava ancora, ma il mio inoltrami da solo era già da cartellino giallo, e sono rientrato.
La grotta è molto, molto vasta, poco esplorata, e piena di temi interessanti nascosti dietro la spettacolarità delle gallerie del Subterranean River.
Vedremo meglio.

GBad

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