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Il Progetto Tepui è tra i principali della nostra associazione. Nelle montagne quarzitiche della Gran Sabana, a cavallo tra Venezuela e Brasile, si aprono migliaia di grotte. Vent’anni di spedizioni ci hanno insegnato a vedere la loro immensità. I tepui, isole tra le nuvole, sono mondi a sé. Al loro interno custodiscono un’altra dimensione, un pianeta sotterraneo inesplorato fatto di colossali fessure, gallerie, cascate, cristalli e minerali formatisi in milioni di anni. L’esplorazione di questi luoghi non ha solo un valore speleologico: lo studio di grotte ed ecosistemi così antichi può fornire informazioni preziose sulla storia geologica e climatica del pianeta. Nel 2012 la scoperta della cueva Imawarí Yeuta sull’Auyan ha rilanciato la nostra attività sui tepui e portato il socio Francesco Sauro a vincere nel 2014 il prestigioso Rolex Award for Enterprise. Il premio ha consentito di estendere il progetto anche ad altri massicci, tra cui l’Aracá nell’Amazzonia brasiliana che abbiamo sorvolato nell’ottobre 2014 (e dove a fine giugno andremo con un’altra spedizione), il Marahuaka e il Sarisariñama oggetto di una prospezione dello scorso marzo.

In cessna sulla Gran SabanaQuesto lavoro ha destato l’interesse di molti media, tra cui la BBC, che ha deciso di girare un documentario sull’Auyan tepui e sulla grotta Imawarí Yeuta. Sicché siamo venuti ancora una volta fin quaggiù, tra queste incredibili montagne, per lavorare insieme a una troupe di documentaristi. Due voli fino all’afa di Manaus, uno sulla foresta e sui maestosi fiumi amazzonici fino a Boa Vista, poi via terra attraverso la frontiera Brasile-Venezuela, qualche giorno a Santa Elena de Uairén per fare la spesa e organizzare la logistica, infine in Cessna sulla savana fino al minuscolo villaggio di Kavac, alle falde meridionali dell’Auyan.
Il tepui, alto più di duemila metri, incombe sul villaggio con imponenti pareti. È una rocca fortificata colossale, che un perenne cappello di nuvole rende ancora più inespugnabile. Qui non ci sono strade né sentieri, ci si sposta solo in elicottero o con piccoli aerei. Raul, il pilota, era pronto già all’alba. Appena il cielo ha promesso di aprirsi per qualche minuto, l’elicottero ci ha catapultati in cima all’altopiano. E battendo le pale è sparito nella nebbia.
Macchina del tempo. Silenzio. Siamo rimasti soli, noi e i nostri zaini e le attrezzature per esplorare, le riserve di cibo, un telefono satellitare. E le tende da montare prima che arrivi la pioggia. Tutt’intorno quarzite scura, acquitrini, piante carnivore. Nebbia. Tempo. Milioni di anni ci avvolgono in un’atmosfera ovattata. L’umidità entra nelle ossa. Oltre, da qualche parte, mille cascate precipitano con fragore nelle profondità del tepui. Riprese esterne sull'Auyan TepuiIl nostro campo base si trova proprio sull’orlo della Sima del Viento, la grande voragine in cui si apre Imawarí Yeuta. Sette tende per noi e la troupe, quattordici persone in tutto, più due tende grandi per cucina e magazzino. Benvenuti al Grand Hotel Auyantepui. Da noi troverete lusso, cortesia e sonni bui.
Stendiamo un nastro giallo per segnalare i percorsi da seguire ed evitare danni alla vegetazione: di qua si va al bagno (alla fine porteremo tutto a valle), di là al torrente per lavarsi, da quella parte invece si scende nella sima. E lo stesso faremo dentro la grotta: nastro giallo per non passare dove non sia stato già calpestato durante l’esplorazione, sacchetti in cui depositare i propri bisogni. Lasceremo meno impronte possibile, ruberemo solo immagini, ammazzeremo solo il tempo, se si lascerà afferrare. Anche i ragazzi della troupe si mettono subito al lavoro. Andrew il fonico inforca le cuffie e, come un segugio, insegue col suo grosso microfono i suoni dell’Auyan. Keith e Hugh, i due operatori, montano cavalletti, cambiano obiettivi, studiano inquadrature. Ben il regista prende appunti. Il conduttore, Steve, approfitta per dare un ultimo sguardo allo script. Max l’assistente di produzione si agita, scrive, smanetta nervosamente col telefono satellitare. Aldo poi è l’angelo custode della troupe: la BBC lo ha mandato per controllare che nessuno dei loro si faccia male. Riprese al campo base sull'Auyan TepuiPoi Andrew fa segno di fare silenzio. Si gira.
«Action!!» urla Ben.
Steve si aggira tra le tende, poi si addentra tra le heliamphore e la nebbia, coi piedi nell’acquitrino, seguito dai due operatori e dal fonico. Poi guarda in camera, allarga le braccia: «Wow! – esclama tutto sorridente – This place is absolutely amazing!».
Al campo base comincia a piovere. Poi esce il sole e ci scotta la pelle. E piove ancora, stavolta a scrosci. Andrà avanti per tutta la sera e la notte. Sonno umido, sogni lunghi. La pioggia trasforma in cascate le pareti della Sima del Viento. Ma ci facciamo presto l’abitudine. L’aria è satura di goccioline ma riusciamo a respirarla lo stesso. Forse abbiamo sviluppato le branchie. Dopo qualche ora abbiamo pure già fatto amicizia coi blocchi viscidi e con la vegetazione, che quando non punge cola acqua a profusione. È bellissima, col suo verde intenso.
Trasportiamo giù le attrezzature della BBC servendoci di una teleferica, installiamo tratti di corda sui tratti più scivolosi, attrezziamo i salti iniziali della grotta, organizziamo un campo interno per evitare alla troupe di fare ogni volta su e giù per la frana. Sicché finalmente ci trasferiamo in grotta: saranno quattro giorni ininterrotti di riprese, dormiremo su una spiaggia sotterranea, accanto al torrente. Un posto umido, ma comunque più asciutto del campo base esterno. Nella Cueva Imawary IeutaUno dopo l’altro percorriamo diversi rami di questa immensa, bellissima grotta. Imawarí Yeuta vuol dire ‘la grotta degli dèi’, in lingua pemón. Un nome pienamente meritato. La sua esplorazione è un viaggio in enormi gallerie tra esili colonne modellate dall’erosione, pavimenti striati di rosa e di viola e di rosso, concrezioni di opale, cristalli di gesso fioriti sugli spigoli di blocchi affilati come vetro, frane ciclopiche, saloni lunghi centinaia di metri, laghi colorati e formazioni bizzarre, nidi di guácharos, improvvise aperture sull’esterno, luce del sole, odore di verde e di muschio, colibrì che volano curiosi, e poi di nuovo buio, grotta, fiumi e rapide e anse con spiagge di sabbia. E la grande cascata di Rató, posto dei sogni. Se i folletti esistono, abitano là. I ragazzi della troupe sono estasiati, si fermano ogni pochi metri per girare qualche scena.
«Action!» urla il regista.
«Wow! – segue puntuale il conduttore – This place is incredibly huge!».
Intanto noi riusciamo anche a esplorare un paio di piccoli rami nuovi, a raccogliere campioni d’acqua, ad arricchire la nostra documentazione video e fotografica. Nelle gallerie attive di Imawari yeutaVerso sera, dopo dieci ore di lavoro, torniamo lentamente al campo interno. Ad attenderci troviamo una buona dose di liofilizzati, un tè caldo, cioccolata e rum. E l’abbraccio ristoratore del sacco a pelo.
Si sta bene, al campo nella Imawarí. Anche quando fuori piove forte, il livello del torrente non sale più di tanto. Buona notte, allora. Sogni d’oro. E se invece che piovere forte, fuori si mettesse a piovere forte forte?
Lo scopriamo l’ultima notte, quando il rumore della piena viene a bussare al nostro sonno. Accendiamo le lampade e, ops, in pochi minuti l’acqua è arrivata a lambire i sacchi a pelo. Il tranquillo torrente si è trasformato in un fiume impetuoso. Fuori deve star venendo giù il diluvio.
Tutti in piedi, infreddoliti e assonnati, guardiamo il livello dell’acqua. Continua a salire? oppure scende? Uno sbadiglio. Sonno batte paura. Un brivido di freddo. Controvoglia trasferiamo tutto il materiale video in un posto sicuro, poi trasciniamo materassini e sacchi a pelo nella parte più alta della spiaggia. E che dio ce la mandi buona. Sogni d’oro, buona notte.
Che notte. Sottoterra l’alba riguarda soltanto l’orologio. Gli occhi non c’entrano nulla. Buio. Umido. Voglia di dormire ancora quelle dieci, dodici ore. Ma ormai il lavoro è finito, tocca trasportare tutti i materiali fuori dalla grotta, poi su per i massi scivolosi della grande frana, e lentamente riguadagnare il campo base. Sperando che non stia continuando a piovere, anche perché se è nuvoloso o nebbioso l’elicottero non può venire a recuperarci.
Quassù piove quasi cinquemila millimetri l’anno, e il cielo è sempre coperto. Si apre una finestra d’azzurro, il sole scotta ma dura pochi minuti. È caldo, e un istante dopo piove a dirotto. Poi smette, si alza una nebbia fittissima e addio elicottero. Un tepui è un luogo infinitamente lontano. È facile rimanere bloccati per giorni. I partecipanti al campo internoMa la Società Meteorologica Italiana ha confezionato per noi dettagliati bollettini meteo e ce li ha inviati al telefono satellitare. Perciò siamo ottimisti. Guardiamo in alto. Le nuvole corrono, aprono e chiudono il cielo. Attesa. Incrociamo le dita. Dopo oltre una settimana nelle nebbie e negli acquitrini del Grand Hotel Auyantepui non vediamo l’ora di tuffarci nel fiume di Kavac. Già pregustiamo una bella cena e la birra ghiacciata e il rum, e i brindisi e gli abbracci e le idee, quelle che butti là per ridere e poi diventano progetti futuri. Corrono le nuvole, aprono il cielo e lo richiudono. Poi finalmente arriva la finestra che aspettavamo. Un ampio squarcio di azzurro. Forse durerà un’oretta. Ed eccolo qua l’elicottero, già ronza sopra le nostre teste, pronto a riportarci a valle. Siamo felici di tornare alle comodità. E invece no: ancora una volta viaggeremo verso casa con gli occhi lucidi e un groppo alla gola, carichi di immagini e di storie. Proveremo a raccontarle, nel tentativo di non lasciarle svanire. Natalino Russo RINGRAZIAMENTI E PARTECIPANTI
Siamo grati alla comunità pemón di Kavak e Kamarata per l’ospitalità e il sostegno in questo progetto; e alla Società Meteorologica Italiana per gli aggiornamenti meteo giornalieri.
Questo lavoro è stato possibile grazie alla collaborazione di: Rolex, Dolomite, BEE1, De Walt, Ferrino, Geotec, Scurion, Amphibious, Intermatica, Mountain House.
La logistica è stata curata dall’associazione La Venta (Francesco Sauro, Francesco Lo Mastro, Carla Corongiu, Vittorio Crobu e Natalino Russo, con la collaborazione di Daniela Barbieri) e dal gruppo Teraphosa (Freddy Vergara, Jesús Vergara, Lenin Vargas).
La troupe della BBC era composta da Ben Lawrie (regista), Max Goldzweig (assistente di produzione), Steve Backshall (presentatore), Keith Partridge (cameraman), Andrew Yarme (fonico), Hugh Campbell (seconda camera) e Aldo Kane (responsabile sicurezza).
I voli in Cessna ed elicottero sono stati forniti dalla società Raul Helicópteros con la preziosa collaborazione di Raul Arias e Karina Ratzevicius.

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