Lo scrittore belga David Van Reybrouck, quando ha visto per la prima volta il gigantesco estuario del fiume Congo, punto di partenza di colonizzatori e missionari, il cui getto possente di detriti, terra e alberi trasforma l’oceano in un brodo torbido per centinaia di chilometri, ha subito associato questa immagine ad una persona che si era tagliata i polsi e li teneva sotto l’acqua, ma per sempre.
Ho ripensato a questo passaggio di uno dei più apprezzati reportage africani (Congo, Feltrinelli 2014) quando mi sono trovato di fronte, anzi ho letteralmente attraversato, alcuni dei fiumi che probabilmente più caratterizzano l’immenso paese dell’Africa centrale: i fiumi di persone, motocicli, vivande e rifiuti di ogni genere che scorrono senza soluzione di continuità nelle strade di Kinshasa e quelli sotterranei, che misteriosi si inabissano tra le rocce più antiche del pianeta per riapparire poderosi dalle numerose risorgenze.
Questo parallelismo azzardato non è sempre sovrapponibile geograficamente, ma ai miei occhi ha assunto una evidenza maestosa e inquietante: il fragore delle buie cascate non era molto diverso dal caos assordante della capitale, che può inghiottire ogni cosa che l’attraversi.
Il sogno di percorrere questi fiumi veniva da lontano, dalle chiacchierate con Michael Laumanns molti raduni fa e da quelle con Cesco sui potenziali africani e le aree carsiche geopoliticamente esplorabili.
La Repubblica Democratica del Congo non sembrava essere una di queste, almeno fino a quando alcuni mesi fa ho ricevuto una mail da Michael con la quale mi invitava a prendere parte alla seconda spedizione del progetto GeoRes4Dev coordinato dal RMCA (Museo dell’Africa Centrale di Tervuren, Belgio) in collaborazione con il CGRM (Centro di Ricerche Mineralogiche e Geologiche del Ministero dell’Energia di Kinshasa).
Un progetto interdisciplinare che, attraverso lo studio e l’esplorazione delle aree carsiche della DRC, del Congo Brazzaville, Ruanda e Burundi, favorisce lo sviluppo delle competenze dei dottorandi in geologia delle università di Kinshasa e Brazzaville e allo stesso tempo si prefigge di porre le basi per i potenziali patrocini e riconoscimenti di questi rilevanti geo siti da parte delle principali organizzazioni internazionali, UNESCO in primis.
Durante la spedizione del 2023, che ha visto la partecipazione di speleologi francesi e tedeschi, sono state riviste e mappate le principali cavità della provincia del Central Congo (area carsica di Mbanza Ngungu), aprendo rilevanti prospettive esplorative per il futuro del progetto.
Uno dei principali obiettivi esplorativi per la spedizione del 2024 era indubbiamente il tentativo di giunzione della cavità più estesa del paese centrafricano, la Grotta Ngovo (oltre 5 km di sviluppo), con una delle grotte esplorate per la prima volta nel 2023, la Grotta Ngungi (circa 2 km).
Inutile dire che non ho esitato un attimo ad accettare l’invito di Michael e a mettermi a disposizione del progetto; dopo alcune video call di preparazione, ci siamo ritrovati nella caotica Kinshasa, che si sviluppa a sud del fiume Congo tra un numero apparentemente infinito di colline incise da piccole vallate, dando vita ad una megalopoli dai contorni praticamente indefinibili.
Non appena ha messo piede sul suolo congolese, mi sono subito reso conto che, con molta probabilità, gli spostamenti nella capitale sarebbero stati i passaggi più delicati dell’intera spedizione.
Infatti, uscire dall’aeroporto N’Dili e attraversare i viali paralizzati dai veicoli sovraccaricati di merce e persone che trasformavano le arterie della città in un unico mercato in continuo movimento, non è stato semplice e abbiamo impiegato alcune ore per arrivare al nostro hotel.
Qui ci siamo trovati con gli altri partecipanti: Pascale Lahogue e Aurore Mathys del RMCA di Tervuren, Bernard e Josiane LipsJean con Philippe Dègletagne da Lione, Michael Laumanns da Berlino, Nadege Ngala Ntambvè, Jeaney Lusongo e Blaise Kabamba Baludikay da Kinshasa, Nicy Basebi Zonza dal Congo Brazzaville, il Prof. Roland Kakulè e Serge Mbangu Selo del CGRM.
Il tempo di caricare oltremodo il pick-up dell’esperto autista Serge e siamo partiti in direzione Mbanza Ngungu, originariamente Thysville, in onore di Albert Thys, un ingegnere belga che alla fine del ‘800 seguì i lavori di costruzione della ferrovia e fece sorgere la cittadina su queste colline a metà strada tra la capitale e Matadi.
Dopo esserci lasciati alle spalle la provincia di Kinshasa ed essere entrati in quella del Central Congo, la presenza di alcuni check point ravvicinati ci veniva spiegata dagli stessi militari: nella zona erano stati segnalati gruppi ribelli ruandesi e pertanto i controlli erano stati intensificati.
Alcune ore dopo siamo comunque arrivati senza problemi a Mbanza Ngungu, che dista meno di un centinaio di chilometri dal confine con l’Angola.
Da questa tranquilla cittadina in cui i fasti decadenti delle ville coloniali esercitano ancora un certo fascino, per due settimane ci siamo spostati ogni giorno incessantemente verso sud, per raggiungere l’area carsica caratterizzata da un carso a torri di modeste elevazioni, imponenti doline circondate da fittissimi bambù e maestosi baobab e risorgenze che alimentano campi di manioca e banani.
Man mano che ci spostavamo verso sud le piste diventavano sempre meno percorribili e i villaggi sempre più modesti e distanti tra uno e l’altro.
In ognuno di essi venivamo accolti da una moltitudine di bambini, che uscivano timidi ma allo stesso tempo curiosi dalle case fatte di mattoni di fango e si gettavano all’inseguimento del nostro pick up. A volte ci seguivano anche fin dentro i primi ambienti delle grotte o intonavano dei canti all’esterno in attesa della nostra uscita, rendendo le nostre esplorazioni ancora più suggestive. Addirittura, un giorno, nei saloni iniziali della grotta Ndimba Dimba, ci siamo imbattuti in una sorta di rito battesimale di una setta locale, i cui adepti indossavano tonache azzurre e pregavano dinanzi ad un gruppo di grandi stalagmiti.
A causa delle purtroppo note vicissitudini che hanno segnato la storia contemporanea del paese, l’esplorazione di queste aree carsiche non è stata approfondita e la documentazione topografica risale alle ultime spedizioni belghe dei primi anni ’80.
Durante le due prime spedizioni del progetto GeoRes4Dev sono stati mappati circa 20 km di grotte caratterizzate da ampie gallerie fossili e rami attivi percorsi da scuri fiumi talvolta interrotti da fragorose cascate che si gettano nei livelli inferiori. Circa la metà di questi chilometri rilevati sono stati il risultato di esplorazioni di nuove cavità segnalate dalle guide dei villaggi limitrofi e nuovi settori percorsi in quelle già note.
Nel corso della spedizione del 2024 è stata compiuta la prima traversata delle grotte Ngovo e Ngungi, dando vita ad un sistema di circa 10 chilometri di sviluppo, ad oggi la tredicesima cavità più estesa del continente africano e soprattutto la traversata più lunga, pari a circa 6 km tra un ingresso e l’altro.
Anche al termine della missione di quest’anno, sono stati lasciati aperti rilevanti fronti esplorativi, a partire dalla nuova cascata alta circa 20 metri individuata nel tratto di gallerie semi allagate del sistema Ngovo-Ngungi, dalla cui base si scorgeva un’ampia galleria sommitale; ovvero la grotta Ndimba, che potrebbe celare nuovi sviluppi oltre il ventoso laminatoio terminale.
Raggiungere questi risultati è stato davvero emozionante per il team internazionale, sia per i giovani studenti congolesi che per noi esploratori venuti da lontano, tutti accomunati da una grande passione per questi luoghi travagliati e complessi da decifrare, dove i fiumi della notte sembrano ancora più misteriosi e il sole è di un arancione indescrivibile.
Giuseppe Spitaleri
(Foto di Bernard Lips)