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Ma il volto tragico, come spesso accade è legato alla mano dell’uomo, i gravi incendi di cui siamo continuamente testimoni in questo viaggio si consumano nell’indifferenza della gente e nell’impotenza del governo. La relazione da stendere pare un bollettino di guerra per noi abituati a riflettere nella vita di tutti i giorni sulle questioni ambientali.  Cosi la Gran Sabana terra dei Tepui, quella che più ci affascina per le scoperte di importanza speleologica, si è ridotta nei decenni a pochi lembi di bosco per lo più fluviale; regnano distese infinite di graminacee su un suolo acido e impoverito. Le motivazioni di questo sconcio che noi chiamiamo semplicemente “incendi dolosi”, sono opere intenzionali di veri e propri piromani protetti spesso da giustificazioni di radice culturale.

Volare sulla Gran Sabana anche per un giorno mette in luce una triste realtà, numerose colonne di fumo si ergono all’orizzonte terso e fino ai piedi dei maestosi Tepui. La Gran Sabana è gestita dalle varie etnie Pemones, una terra che ha un estensione di tre milioni di ettari (la stessa superfice della Svizzera) ed una densità di popolazione irrisoria. Essa termina di colpo lungo la statale verso nord quando si entra nella fresca Sierra de Lema, ed è il momento per tirare un sospiro di sollievo alla vista di enormi vegetali che fanno ombra ad una fitta foresta ricca di vita, un mondo troppo differente a pochi metri dagli assolati e spogli pendii che abbiamo attraversato.

Attuare un piano di salvaguardia e rispetto per queste aree che racchiudono gli ecosistemi più ricchi di vita al mondo appare scontato ma ci si scontra con una amara realtà, l’apparato statale non ha costruito strumenti per reagire, i vigili del fuoco rispondono alle fiamme attendendo che si estinguano naturalmente. Nei dintorni di Tumeremo incontriamo squadre di pulizia stradale che danno fuoco ai lati della statale che stiamo percorrendo, decine di chilometri di fiamme e un odore acre ci accompagnano nel lungo viaggio di settecento chilometri verso Ciudad Guayana, il fuoco approfitta della lunga siccità e si allarga qua e là tra le colline. Più avanti grandi aziende di allevamento bruciano aree boschive per aumentare lo spazio al pascolo mentre focolai disposti in maniera strategica spiccano tra le colline fino a Ciudad Guayana.

Siamo senza parole vedendo questo paese in fiamme, il sole è già basso l’aria è grigia, i militari incuranti ci fermano per uno dei numerosi controlli mentre un ripido rilievo alle loro spalle arde di fiamme vive, sotto si estende un piccolo villaggio ma la vita scorre normalmente e forse il fumo scaccia finalmente i fastidiosi insetti della sera.  Passiamo alcuni giorni a casa del caro Freddy, le torri di fumo sullo sfondo del rio Caronì fanno gran mostra di sé giornalmente, trasportando l’odore e le ceneri che fioccano dal cielo come stelle filanti in lutto.

Partiamo finalmente per il nord-est, le piane nei dintorni di Maturin sono prese d’assalto e, mentre entriamo nella cordigliera della costa, agili roghi divorano ripidi pendi. Al rientro dalle selvagge spiagge di Puy Puy e Medina su una tipica barca di legno con prua pronunciata si leva un forte e caldo vento da est, per tutto il pomeriggio e la serata il villaggio di Rio Caribe è avvolto da una densa e irrespirabile aria, ad una decina di chilometri nella penisola di Pária un grande incendio divora la sua quota giornaliera di foresta e gli occhi bruciano forse feriti più dalle immagini di catastrofe immortalate lungo il percorso. El Niño es un poquito loco è vero, e si diverte con il cerino tra le mani.

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