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Il massiccio del St Paul“Driiinn, driiin, DRIIINNN!!!”

In fondo al corridoio, lontanissimo, squilla il telefono. Da sotto il piumone sbircio l’ora, sono le 7.05. È un’ora fa. Uffa. Questi sono i filippini, mi dico, siano maledetti i telefoni satellitari. La rete Iridium. Le imprese spaziali. Meucci.

“DRIIIIIIN…”.

Il chiodo geodetico, che ora si trova sul St PaulUffa, non ce n’è. Mi alzo e cammino nel freddo sino al telefono. “Avanti!” dico chiedendomi chi sarà dall’altra parte del filo – ma quale filo, cretino, mi dice una vocina –.
Daniela emozionatissima: “STIAMO METTENDO IL CHIODO GEODETICO IN CIMA AL SAINT PAUL!!!”.

Però! Ecco raggiunto quello che sembrava il sogno di un’infinità di spedizioni e di anni, e che in questa sembrava da dimenticare perché c’erano troppi impegni speleologici – troppe scoperte inattese –. Va bene, ritiro le maledizioni alla Telefonia Globale.

“Bravissimi, incredibile!”

Mi passa un Tono emozionatissimo, realizza il sogno di decenni che due settimane fa pareva diventato definitivamente irraggiungibile.

“È stata più facile del previsto, abbiamo alla fine trovato una via ragionevole grazie a mappe e GPS, e i macettatori hanno fatto il resto, è fantastico, siamo in cima al Saint Paul”.

Gli dico di scrivere per il blog, lui mi dice che per un po’ non possono. Non è vero e lo so, lassù hanno di sicuro il Trimble Yuma e quindi più capacità di calcolo e scrittura di quanta ne abbia io in casa sommando tre pc e due mac. Ma una vocina mi dice che è ammissibile che non ne abbiano tanta voglia, suvvia, “vedi invece di chiedergli più informazioni sennò poi riempi il blog di scemenze”. Giusto. Vediamo, quali domande…

“Quando siete arrivati in vetta?” – questa domanda è proprio debole, ritenta, dice la vocina –.

“Venti minuti fa”

“Da dove?” – appena meglio –.

“Dal campo avanzato, ci siamo arrivati l’altro ieri, ieri ci siamo dedicati a grotte e trovare una via, stamane siamo partiti alle 8, trovato un’altra via e in sei ore siamo arrivati in vetta, siamo in sei, io, Leo, Giampa, Marco, Daniela e Silvia”.

No, non sono in grado di giurare sull’elenco, mi hanno tirato giù dal letto. Certo che io non c’ero, e un po’ mi spiace. Sei ore di cammino per l’ultimo balzo. Ma è un giorno di festa.

Ora saranno ancora lì con lo Yuma che acquisisce dati per misurare la vetta al miliardesimo di millimetro, Daniela starà facendo stare tutti accucciati e in silenzio per non dare noia ai segnali GPS “che se mi crei un multipath ti apro in due, hai capito?!”. È di sicuro quello che sta accadendo in questo istante, mentre scrivo. Da questo punto di vista a Torino non si sta poi così male.

Foresta pluviale sotto le vette del St Paul (foto 2007)La vetta del Saint Paul era inviolata, sì, 1028 metri di quota – per ora, naturalmente… –, tanto che quando avevamo detto ai rangers locali che volevamo raggiungerla si erano assai emozionate e avevano chiesto di partecipare. Ci avevano confermato che non c’erano vie che si spingessero non dico sino in punta, ma neppure sino in prossimità.

Una vetta inviolata raggiunta da speleologi.

Un mille equatoriale, ma molto difficile. E inviolato perché, come è sempre capitato ovunque, la vetta di una montagna non fa parte dell’economia di un luogo (neppure la montagna in sé, che spesso non ha neppure nome, ne fanno invece parte i versanti della montagna, che hanno nomi per ogni sasso e passaggio e albero). Questo è sempre stato vero ovunque, e quindi, quand’anche qualcuno fosse andato in punta per curiosità, in genere non lo raccontava, era tempo speso in modo irrilevante per un capriccio.

In questo caso era ancora più vero perché il Saint Paul è un blocco calcareo abbastanza isolato ed estremamente corroso, con vegetazione non preziosa, quindi sui suoi versanti l’acqua è pochissima e l’avanzata è allucinante, su “coltelli saponati instabili in foresta fitta”. Non c’è assolutamente nessun motivo per salirci se non, ma sino alle basse quote, in cerca di caverne con rondini, a prenderne i celebri nidi per gli appassionati mangiatori di zuppe d’erba incollata con saliva secca di salangane. Quindi per noi era importante da sempre per puri motivi “alpinistico-esplorativi” di descrizione di un territorio inviolato, ma ora era anche l’occasione per mettere un caposaldo topografico, e con precisione assurda, nel punto più importante della regione.

Quella delle ore 14 locali del 21 marzo 2011 è stata non solo una “conquista dell’inutile”, ma anche una piccola conquista, vera, della geografia del luogo. Grazie Trimble, e grazie Intermatica.

Insomma, anche oggi c’è stata una bella chicca. Non ho più sonno.

GBad

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