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Siamo sul Chul Bair, settore centrale della catena del Sur Khan Tau, al campo base Boj Bulok, a quota 2670 m.

Come nelle cinque mattine precedenti, ci prepariamo per salire sino ai 3550 m dell’ingresso in parete di Chul Bair 15, grotta scoperta nel 2015 e che quest’anno si sta svelando definitivamente. Nei giorni scorsi abbiamo esplorato fino a -200 m circa: dopo una successione di brevi salti si apre un bellissimo e durissimo meandro, stretto nella parte iniziale e poi largo mediamente mezzo metro, da percorrere in alto, in basso, in spaccata o in contrapposizione senza soluzione di continuità. Intriso e viscido nella parte finale (dell'esplorato), puro stile Boj Bulok per intenderci.

Per rendere le punte più “umane” si è deciso di piazzare un campo avanzato sul plateau a quota 3500, in modo da avere più ore di grotta a disposizione e poter effettuare prospezioni in esterna più lunghe. Attendiamo che l’ennesimo gregge di montoni assetati liberi la piccola risorgenza che sgorga dal gelido ingresso di Boj Bulok, riempiamo le borracce e partiamo. Ognuno sceglie la propria traiettoria per salire su, ormai conosciamo abbastanza bene questo strano universo, dove progressione in superficie e in meandro seguono rigorosamente l’inclinazione di queste immense monoclinali, proprio un universo obliquo. Dopo due ore e mezza finalmente siamo al campo avanzato, tiriamo giù gli zaini sempre troppo pieni e ci beviamo un Tchaì Uzbeko. In serata giungono via radio le prime notizie dagli altri campi: il gruppo di Georgii è entrato in Boj Bulok per lavorare nei rami alti di + 220 m, in Dark Star nuova prosecuzione chilometrica nell’infernale meandro di -700 m (rilevato da noi italiani nel 2014) e finalmente è stato raggiunto in arrampicata l’ingresso di R10, che sembrerebbe puntare diritta verso il campo Gothica di -400 m di Dark Star. Ultimo sguardo a un cielo oltremodo stellato e alle luci degli ultimi villaggi che precedono il confine con l'Afghanistan verso sud, poi ci infiliamo nei sacchi a pelo.

L'indomani sessione di rilievo per me e Gianluca, mentre Alex ed Oleg lavoreranno di disostruzione in alcuni passaggi particolarmente ostici. Scivolando (letteralmente) giù lungo le viscide pareti del meandro in un paio d’ore arriviamo alla zona delle operazioni, poi seguono altre ore di numeri, imprecazioni e freddo, molto freddo. Man mano che scendiamo di quota, infatti, l’aria fredda che ci sbatte sul collo aumenta sensibilmente, segno inequivocabile di un possibile ingresso alto che prima o poi porterà a Boj Bulok, ormai è solo questione di tempo (e di chilometri di meandro). Proviamo a non perdere contatto con le pareti sempre più lontane tra di loro, troviamo corde solo su due piccoli pozzetti, peccato mortale metterle altrove, ma ormai siamo abituati anche a questo. Dopo qualche ora non ne possiamo più, il vento gelido ci ha tolto da un pezzo sensibilità alle mani e il grip degli scarponi è praticamente nullo, mettiamo al sicuro i preziosi dati e torniamo indietro. Si arrampica giocando d’incastro praticamente ovunque e avvolte ci ritroviamo troppo in basso o troppo in alto e si ricomincia, infinite volte. Indubbiamente uno dei posti più duri dove uno speleo possa cacciarsi, e allora ci tornano in mente i racconti di Giovanni Badino e il concetto di meandro “infinito”, venticinque anni fa come adesso ci impressiona e ci ipnotizza.

Probabilmente, entro poche spedizioni saranno più di duemila metri di dislivello, dalla parete del Chul Bair alla grossa risorgenza nei pressi del villaggio Tagiko di Dumbalò, unico. In serata raccattiamo le nostre cose e scendiamo al campo base, l’indomani primo giorno di riposo dopo dieci giorni, toccasana.

Concludiamo le nostre attività con un bellissimo giro a Boj Bulok guidati dal veterano Georgii, risaliamo i primi 150 m di meandro iniziale, scendiamo per il pozzo di Mustafà e i successivi quasi fino a quota zero, infine piazziamo un trasmettitore che servirà a cercare altri ingressi alti.

I soliti tre giorni di viaggio di ritorno scorrono lenti tra villaggi, fuoristrada, treni e bazar variopinti. Un enorme grazie ai miei grandi e forti amici Alex Rinaldi e Gianluca Selleri, alla Associazione La Venta che è sempre fortemente legata a queste montagne e ai fratelli Russi dello Speleo Club Ekaterinburg – Associazione Speleologica degli Urali.

Giuseppe Spitaleri

Sponsor: Amphibious, Chelab, De Walt, Dolomite, Fedra Srl di Tiziano Conte, Ferrino, Hennessy Hammock, Intermatica, Raumer, SAE, Scurion, Tiberino.

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