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Dopo una lunga pausa dovuta alla pandemia, iniziamo lentamente a riprendere le attività nel segno di una nuova e ritrovata normalità fatta di green pass, tamponi, mascherine e gel igienizzanti.

Di certo in questo lungo periodo quello che non abbiamo fatto è stato smettere di sognare nuove esplorazioni e nuove avventure, ma anche di rivedere vecchi amici e compagni che sentiamo distanti ormai da molto tempo.
Oltre a sognare, in questi mesi abbiamo cercato anche di osservare i fenomeni naturali che si stanno verificando sul nostro Pianeta, un modo in più per aiutare a distrarci dai soliti discorsi legati alla pandemia e per alimentare nuovi sogni.

Così è nata questa prima spedizione ai tempi del covid, obiettivo è l’Islanda e lo studio delle cavità vulcaniche che si stanno formando in seguito all’eruzione del vulcano Fagradalsfjall che è ormai attivo da oltre sette mesi. “Hraun” in islandese significa “lava”, una parola che porta con sé la potenza di questa materia caldissima che non è del nostro mondo. Ne abbiamo osservato il comportamento quasi quotidianamente durante questa eruzione, grazie alle webcam e ai numerosi rilievi e video effettuati dalle autorità dell’isola. Nel Fagradalsfjall l’attività si è svolta sia in superficie, attraverso esplosioni ed eruzioni, ma soprattutto a pochi metri di profondità all’interno delle colate solidificate, dove il flusso di lava continua a scorrere attraverso tubi di lava, tra le più affascinanti cavità vulcaniche esplorabili sulla Terra. Prima che queste condotte di raffreddino e risultino accessibili a noi umani ci vorrà ancora molto tempo, ma quella che abbiamo davanti è un’occasione unica per imparare a studiare processi che possano aiutarci a capire meglio come si formano queste cavità e quale impatto hanno effettivamente su eruzioni vulcaniche di tale portata. Da ormai dieci anni alcuni soci di La Venta si occupano proprio dello studio di tali cavità, soprattutto nelle Isole Canarie e sull’Etna pubblicando importanti articoli a livello internazionale. Ma ora è giunto il momento di capire di più sui loro processi di formazione, su cosa contengono nella fase di raffreddamento, e su quanto tempo la vita microbiologica impiegherà per tornare a colonizzare quei luoghi che prima erano impossibili per qualsiasi organismo.

Questa breve spedizione rappresenta un primo approccio al campo lavico, per realizzare una sorta di “fotografia” dello stato attuale, al termine dell’eruzione. Per fare queste ricerche, saremo equipaggiati con un drone dotato di camera termica che servirà per identificare collassi e condotte che si sviluppano al di sotto della superficie terrestre. A seconda delle condizioni meteo, uno degli obiettivi principali sarà quello di effettuare indagini con questi strumenti di giorno e di notte, per questo motivo installeremo un campo avanzato in modo da riuscire a sfruttare ogni momento utile.

Ma come per ogni progetto che organizziamo come associazione, il primo passo è quello di imparare a conoscere l’area per sviluppare collaborazioni attraverso contatti locali, principalmente è quello che cercheremo di fare durante questa prima spedizione insieme alle attività di ricerca. Ci attende un’intensa settimana, dove ci affacceremo sulle lave ancora caldissime del vulcano, voleremo col drone a catturare immagini inedite, e incontreremo ricercatori e speleologi islandesi per iniziare questa nuova avventura.

Questo progetto è supportato da Ferrino, Amphibious, Scurion, Vigea, Miles Beyond, Tiberino, Kibo.it, Studio Atlante, e realizzato in collaborazione con Istituto Nazionale di Astronomia e Fisica, Università di Bologna e Università di Padova, col patrocinio della Società Speleologica Italiana.

Alla spedizione partecipano: Daniela Barbieri, Gaetano Boldrini, Antonio De Vivo, Francesco Lo Mastro, Marco Mecchia, Riccardo Pozzobon, Giovanni Rossi, Tommaso Santagata, Francesco Sauro, Giuseppe Savino, Marco Vattano.

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